lunedì 9 febbraio 2009

Lo Stato delle Cose

Attenzione: questo post contiene unicamente mie opinioni su alcune questioni riguardanti il gruppo, opinioni per le quali mi assumo tutte le mie responsabilità. Prendetele per quello che sono, semplici considerazioni.

Mi accingo a scrivere questo post dopo una riflessione lunga, profonda e contrastata, che è cominciata ormai più di due mesi fa (era dicembre) ed è culminata in un breve ma significativo scambio di opinioni che ho intrattenuto con Luca venerdì scorso, di ritorno dalle “prove”. La discussione riguardava in sostanza il futuro di questo nostro gruppo. Allo stato attuale delle cose è parso evidente ad entrambi come sia impossibile pensare di continuare senza una voce. Possiamo finire di registrare “L’Ultimo Uomo…” ma a questo punto la domanda che ci siamo posti è questa: e dopo? Che ne facciamo di questo dischetto? Nessuno, badate, reputa inutili in sé gli sforzi fatti: da parte mia, però, ho la quasi completa certezza che siano sforzi destinati a non trovare sbocco alcuno, né riscontro. Io c’ho pensato a lungo, e credo che la colpa sia soprattutto nostra, e dell’atteggiamento che abbiamo a lungo tenuto nei confronti del mondo esterno, attuato di volta in volta perché “nessuno capisce la vera musica”, “noi siamo più bravi di quelli là, quindi il fatto che loro ottengano successo è da imputarsi semplicemente al fatto che la gente non capisce un cazzo”, “quello fa schifo, questo fa cagare, è ‘sta roba è priva di valore musicale”. Mi dispiace dirlo, perché a me piace ridere e scherzare su tutto e tutti (benché non sia un compagnone, ma lo sapete già), ma questi atteggiamenti alla lunga hanno iniziato ad infastidirmi anche e soprattutto perché si son configurati come un “progressivo distacco dalla realtà”: mi spiego meglio. A me suonare in giro stressa alquanto, ma una band emergente deve farlo. Noi come ci siamo mossi a proposito? In alcun modo. Non siamo stati in grado di entrare in una rete con altri gruppi locali, credo molto spesso per gli stessi motivi suddetti o per la sensazione, con un brivido di senso di superiorità, di non avere niente a che spartire con “quella” gente. Di recente sei gruppi della nostra zona hanno registrato insieme, dividendo le spese, una compilation di inediti a scopo promozionale per dividersi le serate e trovare da suonare, scambiarsi date e farsi pubblicità, tirar fuori qualche occasione: si sono inseriti in un contesto. A me parlare di scene musicali interessa il giusto, e credo anche a quei ragazzi, anzi, ne sono certo, dato che li conosco… ma loro hanno creato un contesto. Nessuno ci ha chiesto di collaborare perché noi ci siamo sempre disinteressati di questo genere di “collaborazioni” e partnership. Intendiamoci: la stessa cosa possiamo farla anche da soli. Ma se siamo in tanti è più facile darsi una mano e cercare di ottenere qualcosa di meglio. Retrospettivamente, e mi dispiace di non essermene reso conto prima, sono deluso dall’atteggiamento provinciale che abbiamo a lungo tenuto, inviando CD in giro per il mondo senza scopo che non fosse inseguire sogni belli ma lontani dalla nostra realtà. L’errore è stato di tutti noi, non soltanto di qualcuno di noi. Io oggi ne prendo atto e me ne rendo conto, ma non sono innocente a mia volta.

La seconda cosa che voglio dire in questo post invece mi riguarda un po’ più da vicino. Il lavoro degli ultimi 8-9 mesi, questo “Ultimo Uomo 2.0”, questo lavoro credo che abbia soddisfatto un po’ tutti voi, sicuramente Luca, e penso anche Andrea, e nonostante sia felice del fatto che siamo migliorati molto sul lato prettamente tecnico delle registrazioni, temo però di non potermi dire parimenti soddisfatto per il resto. La mia sensazione, in soldoni, è quella di non essere riuscito a dare un contributo positivo lungo questo percorso, e me lo sono spiegato prendendo atto del fatto, di nuovo, che non capisco più quali siano le finalità e gli sbocchi del nostro progetto. Questa è l’ora dell’onestà, per me, ed io sarò onesto. Nel progetto della band, enunciato sul nostro sito, non ci credo. Almeno, non più, ma non penso di averci poi mai creduto più di tanto. All’inizio molto ha potuto l’euforia di suonare insieme, e questa è stata una bella cosa. L’intento progettuale che però sembrate ancora voler perseguire, a maggior ragione oggi col lavoro su “L’Ultimo Uomo…”, non parla in alcun modo alla mia sensibilità di uomo, musicista e (nel mio piccolo) artista. Dato che voglio essere onesto devo ammettere di non aver avuto mai in questi ultimi mesi il coraggio di riascoltare le canzoni che stiamo incidendo. Non mi piacciono. Questo non significa che siano brutte, badate, ma semplicemente che questa musica non incontra il mio interesse. Avrei voluto contribuire maggiormente alla composizione e portare un po’ delle mie idee nel mucchio, ma devo dire che quasi sempre mi è stato difficile, un po’ per la mia natura (non mi è facile impormi, ma l’avrete notato) un po’ perché non credo di aver mai incontrato un’accoglienza più che tiepidina per le mie intuizioni. Io posso anche avere pessime idee e pessimi gusti musicali, questo non è in discussione, ma mi piacerebbe che le cose si discutessero. Non voglio fare qui un elenco delle cose che avrei fatto diversamente, sarebbe lungo, tedioso e soprattutto già sentito. Credo però che, almeno per me, sia giunto il momento di fare a meno dell’ossessione di produrre cose che lascino gli altri a bocca aperta di fronte alle nostre capacità tecniche e compositive. Farò un esempio. Prendete “L’Isola Rocciosa”. Tutti sapete che non sono entusiasta del finale in crescendo. Ok, ok, magari non sarà in crescendo, ad ogni modo secondo me non è essenziale per la canzone. Un’altra cosa che non capisco di quella canzone è il perché di tre bridge differenti tra le strofe: successioni di accordi e progressioni sempre diverse. Perché? Solo per “movimentare”, per “complicare”? Io, lo sapete tutti, vedevo quel pezzo, con quel testo e quella melodia, come adeguato per un qualcosa di più “semplice”. Non pensavo né a Frank Zappa né ai Radiohead, non ai Genesis o agli Yes né ai Sigur Ròs, quando ho scritto quel testo. Pensavo ad una roba tipo Leonard Cohen, qualcosa di acustico e cantautorale. Non serviva molto più che due accordi e quel testo, a mio avviso. Ora, a me sta bene che si decida di fare le cose diversamente da come io ritengo giusto, se si è d’accordo in maggioranza: però credo che non mi stiano più bene le motivazioni che mi pare d’intuire siano alla base di questo “fare le cose”. Ho paura che stiamo inseguendo una “maniera”, dimenticandoci della sostanza. Ho paura che le idee, per quanto possano essere buone, siano “vecchie”, inadeguate al mondo in cui viviamo, un mondo nel quale la musica non si è certo fermata dopo il 31 dicembre 1979.

Quindi credo che potremmo (e dovremmo) cogliere l’occasione per una riflessione e capire in che direzione vogliamo andare. Risposte come “quello fa schifo, questo fa cagare, sono cose senza valore musicale etc.” a me non stanno più bene. Io cercherò di non dare più risposte del genere, almeno. In nome dell’onestà, sappiate che non so cosa succederà dopo la fine de “L’Ultimo Uomo…”, non so cosa deciderò di fare, dove sarò e cosa farò. Mi sono convinto che per noi l’unico modo sia fare piazza pulita (in qualche modo) e ripartire. Questo non vuol dire che al 100% dopo aver inciso l’ultima nota di “Hoffnungszeichen” mi leverò dai coglioni e non avrete mai più mie notizie. Significa solo che io ci devo pensare. Sento di doverci pensare, perché ho vissuto l’ultimo periodo in questo disagio che è andato via via crescendo e diventando più forte e profondo. Questa non è una cosa che riguarda la nostra amicizia, ma solo il fatto che, senza rivedere un progetto che sta andando alla deriva, non esiste più un orizzonte all’interno del quale muoversi, a mio avviso. Quindi, per adesso vado in stand-by e proseguo così…. Ma ci sono. Domani si vedrà. Spero che leggiate questo post per quello che è, un’occasione da cogliere per capire dove siamo, chi siamo e dove stiamo andando.